sabato 21 gennaio 2017

Il pensiero critico ed il problema della ri-connessione

Oggi ho avuto l'opportunità (grazie a Claudio Messora) di scoprire un nuovo "pensatore" che, in maniera "storico-critica" ha colto, direi in pieno, quello che potrei definire la iperattività del "pensiero critico" dei tempi attuali . Riporto, di seguito, brani del suo post datato 8/1/17 (  pierluigi fagan | complessità | "Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza." (I. Kant) ) troppo lungo per essere qui interamente copiato :

"La nostra conoscenza è coscienza del mondo ma essa non ha autocoscienza, coscienza riflessiva. Da ciò consegue anche l’impossibilità della democrazia, dell’autogoverno umano, in quanto l’umano non sa di ciò di cui dovrebbe decidere, non può valutarne gli effetti complessi e quindi non può darne giudizio motivato ed attinente, non sa intervenire sull’ordine del mondo per modificarlo e quindi si affida a funzionamenti impersonali auto-organizzati come il mercato e all’élite che ne cura la continua riproduzione o al sogno ormai spento di cambiare tutto e tutto in una volta l’ordine dell’esistente con una improbabile “rivoluzione”. 

e poi ancora :

"Il pensiero critico, invece di criticare la forma de-sistematizzante del paradigma centrale della divisione è a sua volta stato spinto ad occuparsi solo di parti, da ultimo, nel post-moderno, addirittura di “frammenti”. Si è concessa la “critica” nell’illusione di coloro che la praticano come unica forma di impegno socio-intellettuale, che la corrosione razionale eroda i fondamenti concreti del nostro modo di stare al mondo, concessione facile visto che nessuno è più in grado di prefigurare un diverso modo concreto di stare al mondo. 
Poiché quindi qualsivoglia sistema necessita di un ordine, possiamo passare anche i prossimi mille anni a criticare l’ordine in atto ma finché non avremo un progetto diverso, esso rimarrà in atto almeno fino a quando non collasserà in una catastrofe autoprocurata. 
Ecco allora che critica e sogni di fuga si alternano in una rapsodia di improvvisi. 
Vorremmo società più umane ma lavorando 40 ore la settimana è impossibile, allora vorremmo tornare a dimensioni  di semplicità autarchica ma poi si rimane tutti disoccupati ed allora vorremmo la piena occupazione ma così incontriamo i limiti ambientali e geopolitici della nostra agognata espansione, eravamo cosmopolitici ma poi tra globalizzazione e migranti senza frontiere ci è venuto qualche dubbio ed allora pensiamo che tutto si riduca alla sovranità monetaria o ad un ritorno dello Stato (un ente del XV secolo) ma altri ci dicono che invece il problema è la tecnica, ad allora accusiamo il pensiero scientifico ma questo accusa quello umanistico di non saper produrre realtà ed allora vorremmo fare la rivoluzione quando non siamo in grado neanche di imporre una moderata redistribuzione fiscale. Ci si salva pregando un dio o andando dallo psicanalista o gettandosi in qualche nevrosi. Giriamo in tondo, non ci raccapezziamo perché non connettiamo, non siamo più in grado di legare le cose tra loro mentre lì, fuori dalla nostra testa, le cose sono tutte intrecciate tra loro." ... Per quanto l’insieme della conoscenza umana non sia esattamente di tipo cumulativo, improbabile ricacciare il genio del moderno nella lampada, più probabilmente lo si dovrà riconnettere, al suo interno, al suo esterno, al come pensa l’uno e l’altro."

I concetti di Fagan, oltre che indiscutibilmente solidi, mi sono oltremodo conosciuti poichè ricalcano ed assommano le logiche neo-filosofiche (chiamo così quelle che si distinguono, almeno cronologicamente dai pensatori greci e medioevali) che, a partire dal XIV / XV secolo hanno più o meno correttamente influito a creare il "Pensiero Moderno" come lo concepiamo oggi.
Il problema della "ri-connessione" tra i vari pensieri critici che ognuno di noi ha (a modo suo e con proprie visioni soggettive) è che la conoscenza (e quando dico conoscenza non intendo la "padronanza" bensì la semplice "consapevolezza") dei soggetti di studio e degli eventuali problemi che essi creano non può bastare.

Se è vero che un uomo di oggi può spaziare su mille argomenti di natura diversa è altrettanto vero che non saprebbe nemmeno sopravvivere senza la "conoscenza altrui", ovvero l'uomo di oggi non può essere più autosufficiente (nè mentalmente nè fisicamente) senza che qualcun'altro (o tanti altri), non lo aiutino nella "sopravvivenza quotidiana".

Volendo portare un esempio pratico di natura squisitamente fisica : il frigorifero/congelatore, l'acqua dal rubinetto, le bevande imbottigliate, il riscaldamento, la lampadina, l'energia elettrica (per non parlare dei prodotti elettronici), le medicine etc; sono tutte cose delle quali abbiamo conoscenza e praticità d'uso ma , il più delle volte, incapacità nella sua costruzione/riproduzione : per questo abbiamo bisogno di altri.

A loro volta , chi ci fornisce questi oggetti (ormai per noi indispensabili) è dipendente da altri: non è che chi produce medicinali sappia poi fabbricare altrettanto bene scatole di latta o automobili;
  
Nello stabilimento stesso di produzione di medicinali ci sarà chi si occupa (ed è quindi manualmente e mentalmente preparato) della gestione delle macchine di produzione/inscatolamento, chi invece dello studio dei composti chimici a base del prodotto, chi dell'amministrazione economica e chi di quella logistica o di approvvigionamento delle materie prime e così via e ognuno è ignorante dell'operato dei suoi colleghi di lavoro. E questo accade anche nelle fabbriche di auto o quelle delle scatole di latta etc;

Ma non solo. All'interno delle fabbriche prese da me come esempi, nessuno avrà la capacità di costruire una macchina intera per il confezionamento delle medicine o una catena di montaggio automatizzata completa per la costruzione delle auto o delle lattine, altre persone, all'esterno, dovranno occuparsene. e così via.

In sostanza l'interdipendenza tra gli umani (già comunque esistente in maniera assai più limitata nei secoli precedenti alla rivoluzione industriale) è cresciuta di pari passo con la modernità  ma anche con una drastica diminuzione della "conoscenza necessaria" al singolo.
In pratica le nostre idee si sono frazionate o "compartimentizzate" in elementi diversi.
come lo stesso Fagan spiega :

 Nel mondo non esiste l’economia o la finanza o la politica o l’ecologia o la demografia o la geografia o la storia o la sociologia o l’antropologia o la geopolitica, questi sono solo modi di conoscere un tutto tagliandolo a spicchi, sono solo modi di conoscere definiti da noi in un’epoca in cui abbiamo diviso tutto per meglio conoscerlo e controllarlo. 
Ma oggi questo tutto sfugge al nostro controllo per eccesso di complessità e le priorità conoscitive diventano quelle che hanno in oggetto solo grandi sistemi e loro interrelazioni. 
Questo chiama quella capacità di collaborazione che la società dell’ iperconnessione dei disconnessi ha desertificato e questa collaborazione dovrebbe avere in oggetto il condividere un disegno di mondo realista, integrato e possibile in senso adattativo. 
Per fare questo disegno, dovremmo quindi poter accedere al patrimonio delle conoscenze non solo usando volta per volta questa o quella conoscenza particolare ma accedendo prioritariamente a forme di conoscenza generale, poi da approfondire in questa o quella particolare. E’ questo il primo passo da compiere per accedere ad un lungo processo di necessaria ritessitura sociale: la creazione di un nuovo modo di conoscere per poi tentare un nuovo modo di vivere. 
Babele non riuscì a costruire la sua ambizione perché Dio rese i suoi abitanti reciprocamente inintelligibili, così noi non potremo mai costruire la nostra nuova città se non partendo da uno strato minimo di comune conoscenza e se questa non collezionerà molte delle parti ma anche delle reciproche relazioni che tessono il sistema di cui siamo parti."

(Io aggiungerei un elemento peggiorativo alla condizione riflessiva dell'uomo contemporaneo e cioè la "pigrizia mentale" di cui è oggi ,involontariamente o meno, ammalato. <vedi "Uomini e Caporali" del 17/11/2013 su questo blog> )

A questo punto, la domanda è lecita. Quale dovrebbe essere il primo tassello di conoscenza per ri-connettere i "disconnessi" ?
La mia personale opinione è questa : rileggere la storia.
Questo chiaramente non, o almeno non solo, dall'aspetto degli avvenimenti e delle date, bensì da quello che ci può raccontare in termini Culturali, Filosofici, Sociali (quali esperimenti di convivenza si sono succeduti come stratificazione sociale, come metodologie di governo, etc;) e , perchè no, anche religiosi.
La rilettura andrebbe attuata con un'estremo "spirito critico libero", quindi apolitico nonchè scettico delle "verità inossidabili" da sempre inculcateci nel comune sapere occidentale.
Sarebbe un pò come chi , per superare una fossa o un precipizio, dovesse fare qualche passo indietro per prendere la rincorsa giusta al superamento dell'ostacolo.

Essendo il mio un "pensiero critico" molto relativo sarei lieto di ricevere dei nuovi suggerimenti.

Voster Semper Voster

The Captain

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